Alzati 5 – La vita… la si riceve toccando Cristo!

“La vita… la si riceve toccando Cristo!”

Al versetto 14 del brano evangelico di Luca 7, 11-17 leggiamo:

“Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono”.

Gesù dopo essersi fermato alla vista del corteo funebre, incoraggiato la vedova con le parole “non piangere” pone un gesto vietato dalla legge ebraica: toccare i morti. Egli toccò la bara.

Anche noi, credo, viviamo i tre atteggiamenti di Gesù quando partecipiamo ad un funerale: essere presenti, incoraggiare chi soffre e toccare la bara. Molte volte ho visto persone che appoggiavano la mano sulla bara del defunto o dare un bacio o stringersi ad essa – penso – come segno di saluto e di addio.

Il toccare di Gesù invece è diverso dal nostro. Il Signore è il solo che toccando risuscita. Gesù è l’unico che ha il potere di poter toccare la morte e tramutarla in vita.

Questo gesto che Gesù compie era vietato dalla legge ebraica. Nessun poteva toccare un morto perchè altrimenti restava contaminato, cioè impuro, e di conseguenza doveva purificarsi secondo quanto prescriveva la stessa legge.

Gesù tocca la bara non solo perchè non ha paura di essere contagiato, ma soprattutto perchè non accetta una religione e una mentalità del rifiuto, dell’esclusione e dello scarto nei confronti dei fratelli. Egli tocca per far cadere tutte le barriere della separazione e dell’emarginazione; come farà anche quando si avvicinerà ai lebbrosi e ai peccatori.

Papa Francesco, da tempo ormai, continua a richiamare, con i suoi discorsi ed interventi, sia la Chiesa che l’Umanità sulla cultura dello scarto e dell’indifferenza che anima –purtroppo- la nostra società; proponendo invece una “cultura della cura” e dell’incontro.

Pochi giorni fa, nel suo messaggio di pace del 1 gennaio, ha richiamato ancora una volta gli uomini a debellare la cultura dell’indifferenza e del disinteressarsi degli altri e del creato[1].

Gesù toccò la bara.

Avete mai pensato quanto questo verbo “toccare” è il più vissuto durante un giorno. Quante cose, oggetti, persone, anche noi stessi ci tocchiamo o siamo toccati?

Si può vivere senza toccare? No! Noi viviamo toccando. Il toccare è presente in ogni nostra azione. Esso è un gesto così normale al punto che non ci badiamo quasi mai; eppure non si vive senza toccare perchè contrariamente saremmo morti.

Inoltre, il tatto è il primo dei cinque sensi di cui l’essere umano, fin dal grembo di sua madre, fa esperienza.

Soffermiamoci a riflettere su questo verbo.

Che cosa vuol dire toccare?

Nel dizionario della lingua italiana troviamo la seguente definizione: venire in diretto contatto con la realtà materiale e umana. Per i credenti anche spirituale.

Ciò che cambia quando si tocca qualsiasi cosa è il motivo. Possiamo toccare per afferrare, per stringere, per rendersi conto, per richiamare all’attenzione, per aiutare, per spostare, per comunicare affetto, ecc. Sempre nel toccare comunico la mia alterità e sento l’alterità altrui sia degli oggetti sia delle persone in particolare.

Toccare è l’esperienza che soggiace ad ogni nostra azione e le dà significato.

Toccare infine è vicinanza, reciprocità, relazione… vibrare, sentire, accogliere o rifiutare quanto la realtà circostante mi offre in ogni attimo del mio vivere.

Proviamo ora a riportare questo verbo e il suo significato nella Fede.

Quando diciamo fede, ci rivolgiamo sempre ad una realtà che è invisibile agli occhi, altrimenti sarebbe appunto visibile, tangibile e non occorrerebbe credere.

Non dirò mai: io credo nella sedia per esempio o nel tavolo o nel cielo perchè li vedo o perchè ne ho fatto e ne faccio esperienza concreta ogni giorno.

Questa mattina, ancora un altro esempio, ho bevuto il caffè. Voi sicuramente credete a questa mia affermazione perchè non ho perso la testa, cioè non sono impazzito, e non ho motivo per mentirvi. Seppur siete chiamati a credere, perchè questa mattina non eravate con me e non ci sono testimoni che possono confermare perchè ero da solo, potete sempre verificare con le analisi del sangue se ho assunto caffeina oppure no. Quindi anche se molte volte usiamo, direi in modo improprio, il verbo “credere” per situazioni che sono tangibili e verificabili, quando parliamo della fede indichiamo sempre qualcosa che sfugge alla visibilità, alla ragione (anche se vi è un stretto rapporto tra fede e ragione[2]) ed alla condizione umana.

La fede è la realtà che è sempre al di là dei miei ragionamenti, della mia comprensione e adesione. La fede è sempre oltre perchè per noi cristiani essa è una persona, è Gesù Cristo morto e risorto, che si dona a noi gratuitamente.

Detto questo, essendo noi esseri umani che vivono continuamente l’esperienza del tastare e palpare, possiamo parlare di una certa dimensione del toccare della fede e nella fede.

Nella Bibbia, nei Vangeli e nella storia della Chiesa, troviamo tanti esempi del “toccare la fede” sia nella vita del popolo ebraico, sia nell’esperienza umana di Gesù, che nei santi. Non possiamo ovviamente esaminarli tutti e nemmeno è lo scopo di questa catechesi, per cui prenderemo in considerazione solo alcuni dei tanti passi dei Vangeli, in cui troviamo Gesù che tocca le persone e altri in cui sono questi ultimi a toccarlo.

Analizziamo quattro brani evangelici in cui è Gesù che tocca alcune persone e sei in cui è Lui ad essere toccato.

A) Gesù che tocca le persone.

  1. Il cieco fin dalla nascita: Gv 9,1.7.

“Passando vide un uomo cieco dalla nascita. Detto questo sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe (che significa Inviato)». Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva”.

In questo brano del vangelo Gesù prima di tutto vide un uomo e poi il suo problema: la cecità.

Ero ad Edmonton, nell’ovest del Canada per tre mesi per studiare inglese. Ogni mattina allo stesso orario prendevo l’autobus per recarmi a scuola. Ogni mattina più o meno incontravo le stesse persone che come me si recavano a scuola o al lavoro. C’era un giovane con un problema. Ogni giorno che lo incontravo sull’autobus io vedevo il suo problema e non lui. Ad un certo punto mi dissi: “Io non sto incontrando questo giovane, questa persona, ma solo il suo problema”. Quando feci questa conversione di sguardo cominciai ad incontrare sul serio la sua persona, la sua umanità, per la quale pregavo anche se non l’ho mai conosciuto.

In questo sguardo che Gesù vive verso le persone, come per l’uomo cieco dalla nascita, prima incontra l’essere umano nel suo profondo ed è lὶ che successivamente coglie i veri problemi e bisogni che l’altro ha ed agisce.

Gesù nel ridare la vista al cieco nato, non solo gli permette di vedere, ma gli dona uno sguardo di verità prima di tutto su se stesso.

Non siamo ciechi, eppure facciamo fatica a vederci nella verità di noi stessi ed a vedere la presenza di Dio sia nella nostra vita che in quella altrui. Allora anche noi siamo ciechi fin dalla nascita o da un momento particolare della nostra vita, per cui abbiamo bisogno che Gesù tocchi anche i nostri occhi e ci ridoni la vera vista, la vista di Dio che ci permetterá nelle circostanze della vita di dire come l’uomo guarito: “Credo, Signore” (Gv 9,38).

2. La donna adultera. Gv 8, 1-11.

“Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra. Alzatosi allora Gesù le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed essa rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù le disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».”.

In questo passo troviamo Gesù che scrive a terra con il dito.

Quel gesto richiama ciascuno a scrivere la legge nel cuore da cui nascono i veri giudizi, la misericordia.

Gli accusatori condannano la donna peccatrice senza rivolgerle la parola, Gesù invece entra in dialogo chiamandola donna e non peccatrice o adultera. Gesù nel dirle donna pone in evidenza il suo vero essere e le ridà la sua dignità.

Il Signore tocca la terra, la terra della nostra vita macchiata dal peccato, per ridare dignità e per aprire una nuova via di cammino. Gesù nel dire alla donna di non peccare più, la invita a non cercare ciò che la sporca, la rende oggetto degli altri e la fa cadere a terra nella condizione più misera. Le indica il cammino per trovare l’amore vero.

Anche noi siamo invitati a ridare dignità. Ridare dignità a noi stessi, agli altri ed a usare bene i beni che possediamo, in primis la vita: bene supremo. Non sciupiamo ciò che siamo e che abbiamo nella ricerca di piaceri e soddisfazioni effimeri e ingannatori, che ci lasciano sempre più vuoti. Cerchiamo invece Colui che é pienezza: Dio!

3. La fanciulla. Mc 5, 40-43. Gesù tocca la morte.

“E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare”.

Gesù con delicatezza prende la mano della bambina le dice: “Talità kum, alzati”.

Bella questa scena del Signore che va a casa di Giairo, un capo della sinagoga, entra nella stanza della defunta e le prende la mano. Gesù le prende la mano.

Quante situazioni della vita ci sono in cui possiamo prendere la mano di qualcuno per diversi motivi. Quando noi prendiamo la mano di qualcuno, che cosa vuol dire?

La mamma per esempio afferra la mano del bambino per aiutarlo ad alzarsi da una caduta. Un giovane prende sottobraccio una persona anziana per aiutarla ad attraversare la strada. Si afferra la mano di chi sta dietro di noi per aiutarlo a salire in una gita in montagna,… fino a prendere la mano di qualcuna per sposarla.

Gesù prende la mano di una morta facendosi carico ancora una volta della sua situazione senza, all’apparenza, speranza e futuro. Gesù vince ancora una volta la possibilità della corruzione del corpo e risorge la bambina mettendola in piedi e ridonandola la vita.

Permettiamo a Dio di entrare nelle nostre case, nelle nostre stanze e di avvicinarsi al letto delle nostre sofferenze affinchè anche a noi possa dire: “Talità kum!” cioè svegliati, alzati, mettiti in cammino. Io sono con te e condivido la tua storia, la tua vita mi interessa.

Proviamo ad essere per gli altri questa mano dolce, forte e decisa di Gesù che accarezza, che cura che ridona vita e speranza a chi è nel buio.  

4. Gesù e i bambini. Mt 19,13-15.

“Allora gli furono portati dei bambini perché imponesse loro le mani e pregasse; ma i discepoli li sgridavano. Gesù però disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, perchè di questi è il regno dei cieli». E dopo avere imposto loro le mani, se ne partì”.

Questo gesto di imporre le mani è importante. Si imponevano le mani nell’antichità per consacrare i re, i sacerdoti e i profeti. Oggi nella Chiesa cattolica i candidati al sacerdozio diventano tali per l’imposizione delle mani del Vescovo e la preghiera consacratoria.

L’imposizione delle mani è un gesto che consacra, ma anche che tramette potere e identifica con colui che opera l’azione. Gesù infonde nei bambini, imponendo loro le mani, il suo potere e si identifica con loro.

Ho scelto questo brano per evidenziare l’importanza delle piccole cose.

Forse quanto sto per dire può risultare come una forzatura di significato, che il brano in realtá non indica.

Gesù tocca e impone le mani ai bambini al di sotto dei 6/7 anni perché esclusi alla vita della sinagoga per l’età. Egli tocca ciò che è piccolo, debole e che non conta nella società del suo tempo.

Gesù desidera toccare ciò che nella nostra vita noi giudichiamo piccolo, debole, insignificante. Lui è venuto a cercare le cose piccole: i particolari. Il nostro Dio non è il Dio della masse, dei gruppi, delle folle ma il Dio dei rapporti personali, del faccia a faccia, che sa vedere nel singolo di ciascuno di noi il “tutto”[3].

Gesù viene per imporre, per consacrare, per dare compimento alla nostra vita, fatta di piccole cose e ci chiede di essere come i bambini: semplici e che si affidano alla parola del papà e della mamma.

Passiamo ora nella seconda parte dei brani evangelici in cui è Gesù ad essere toccato dagli altri.

B) Gesù che è toccato dalle persone.

  1. La emorroissa. La salute e il male fisico. Mc 5,25-34.

Or una donna, che da dodici anni era affetta da emorragia e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza nessun vantaggio, anzi peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla, alle sue spalle, e gli toccò il mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita». E subito le si fermò il flusso di sangue, e sentì nel suo corpo che era stata guarita da quel male. Ma subito Gesù, avvertita la potenza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi mi ha toccato il mantello?». I discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che ti si stringe attorno e dici: Chi mi ha toccato?». Egli intanto guardava intorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Gesù rispose: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male».”.

Immaginiamoci la scena.

Gesù è circondato dalla gente. C’è tanta confusione. Tanti senza volerlo toccano e circondano il Signore, e forse anche lo spingono. L’emorroissa in questa situazione non facile riesce a toccarlo.

Costei è una persona coraggiosa. Sfida la legge, la difficoltà della folla che circondava il maestro e trova il modo per avvicinarsi al Signore anche solo per toccare il mantello o il lembo.

Conosciamo la sua storia. Da anni è afflitta da un male inguaribile e ha speso tutti i suoi soldi senza che nessun dottore riuscisse a trovare un rimedio. Lei sente parlare di Gesù e di ciò che fa e intuisce in questo uomo la soluzione del suo problema, della sua malattia, e anche qualcosa di più che da anni stava cercando.

Questa donna con la sua fede ci dimostra che basta poco per cambiare le situazioni. Che occorre non una grande fede per toccare Dio e il suo cuore misericordioso, ma una fede vera, essenziale, pulita. Lei con la sua tenacia, in cui si gioca il tutto per tutto, ottiene. Gesù le dirà: “Donna la tua fede ti ha salvata”, cioè non solo sei stata guarita, ma anche salvata.

Questa persona, con la sua fede, ci invita a credere che basta poco. Che il Signore non ha paura di essere toccato da noi gente di poca fede, peccatrice, malata. Lui è contento di poter condividere con noi la sua vita e la sua forza guaritrice.

2. La peccatrice. Il peccato e la condizione morale. Lc7, 36-38.47.50.

“Uno dei farisei lo invitò a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. Ed ecco una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, venne con un vasetto di olio profumato; e fermatasi dietro si rannicchiò piangendo ai piedi di lui e cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di olio profumato. (…)

Per questo ti dico: le sono perdonati i suoi molti peccati, poiché ha molto amato. Invece quello a cui si perdona poco, ama poco». Disse alla donna: «La tua fede ti ha salvata; va’ in pace!».”.

Ci si potrebbe fermare per una serata intera su questo brano.

Mi limito ad evidenziare i gesti che la donna compie al Signore, come lei lo tocca.

La donna bagna i piedi del maestro con le sue lacrime, li asciuga con i suoi capelli, li bacia e infine con le sue mani li cosparge di olio profumato.

Sono tutti gesti di venerazione, di adorazione, di rapporto personale e intimo con il Kýrie ovvero con il Signore. Non c’è nessuna situazione in cui perdiamo la dignità di poter stare difronte a Dio. Sicuramente questa donna, cosciente della sua situazione di peccato e di giudizio che pesava sulla sua coscienza, ha fatto fatica a superare tutti i condizionamenti esterni per avvicinarsi a Cristo, ma l’amore ha vinto. L’amore ha avuto l’ultima parola sia nel cuore della donna, che l’ha spinta ad andare verso il Maestro, che soprattutto nel cuore di Dio che le dice: “La tua fede ti ha salvata; va’ in pace”.

A volte mi è capitato di ascoltare nei dialoghi personali persone che dicevano: “ Non sono più degno/degna di avvicinarmi a Dio con quello che ho fatto. Che cosa penserà di me il Signore dopo tutto?” e altre domande del genere. Mi vengono in mente le parole del figlio prodigo quando dice a se stesso:

“Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni”. (Lc 15,18-19).

E il padre non appena lo vide da lontano gli corse incontro, lo abbracciò, lo baciò e gli ridiede, attraverso il segno del vestito, dei sandali e dell’anello, la sua dignità.

Papa Francesco non smette di ripeterci che Dio non si stanca mai di perdonarci, siamo noi ci stanchiamo di chiederGli perdono.

3. Molti toccavano Gesù, ma senza incontrarlo.

3.1. “Gesù andò con il capo della sinagoga. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno” (Cfr. Mc 5, 24-25).

Quante persone, quante folle hanno seguito il Maestro durante la sua vita terrena, quanta gente lo ha visto, toccato e forse ha anche chiesto delle grazie, ma non l’ha incontrato.

Anche noi corriamo questo rischio e forse per noi è più grave.

Crediamo in Dio, preghiamo il Signore, ci affidiamo a Lui però senza incontrarlo?

Basta una difficoltá, una tempesta, degli eventi contrari alla nostra felicità che subito mettiamo in discussione la nostra fede. Che male ho fatto per meritare tutto questo? Dio non mi vuole bene. Sono arrabbiato con Lui.

Oppure di fronte a certe scelte e decisioni economiche, lavorative, di perdono verso i familiari o amici, di giudizio nei confronti di chi ha commesso errori sembra come se la fede, Dio e l’amore che Gesù ci chiede per gli altri non siano presenti in noi in quel momento.

So che non è facile eppure la nostra fede, la fede Cristiana-cattolica è un credere che vuole e che si deve incarnare nel nostro quotidiano. Dobbiamo sempre più unire l’umano col divino: ecco la vera fede.

Tutto questo è un cammino, una scelta quotidiana da operare, conversione che richiede tempo e adesione libera del cuore. Ecco perchè non dobbiamo giudicare i fratelli e le sorelle di fede che non sempre sono una buona testimonianza.

Anche noi sacerdoti e consacrati e missionari, che abbiamo scelto Dio come ideale e ricchezza della nostra vita per sempre, ogni giorno siamo chiamati a rinnovare questa scelta; per nulla scontata.

3.2. Il soldato che schiaffeggiò Gesù (Gv 18,22-23)

Ma appena ebbe detto questo, una delle guardie che gli stava vicino dette uno schiaffo a Gesù, dicendo: «Così rispondi al sommo sacerdote?» Gesù gli rispose: «Se ho parlato male, dimostra il male che ho detto; ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?»”.

Ho scelto questo brano del vangelo in cui una delle guardie dà uno schiaffo a Gesù perchè probabilmente anche voi come me, non vi siete mai soffermati su questo particolare che descrive san Giovanni nel suo vangelo.

Questa guardia tocca Gesù in maniera violenta, veloce e senza alcun desiderio di entrare in relazione con Lui; anzi il suo gesto manifesta il contrario.

Questo funzionario schiaffeggia l’interrogato forse perchè come afferma il Card. Martini:

“mal pagato, pieno di frustrazioni e sempre sottomesso, come è proprio degli inferiori posti tra un capo tirannico e I sudditi scontenti: un uomo amareggiato, che a un certo punto non trova di meglio che sfogare la sua ira contro un debole qualunque, magari per guadagnarsi un po’ di favore. Ebbene, Gesù potrebbe accettare in silenzio invece preferisce fare qualcosa di più, e dice: “Guarda in te stesso. Perchè mi hai colpito? Quali sono le radici del tuo atto? Se sono buone, io sono pronto a lasciarmi colpire; ma se non hai una ragione fondata, perchè fai così? Perchè questa scontentezza, perchè questa amarezza e questa frustrazione? Che cosa c’è in te che non va?” Insomma, Gesù  colpito compie opera di evangelizzazione e di liberazione nei confronti di un uomo che non aveva mai visto, né rivedrá mai più” .[4]

Anche i cristiani d’oggi corrono lo stesso rischio della guardia, cioé prendersi la libertá di schiaffeggiare Dio per scaricare le proprie frustrazioni e problemi. Un esempio: la bestemmia.

Nei primi giorni dal mio arrivo Vercelli, decisi di dedicare del tempo per visitare la cittá. Rimasi colpito che nel Duomo vi è una cappella dedicata alla “Madonna dello schiaffo”. La storia racconta che un uomo che aveva perso nel gioco molto denaro, andò in chiesa e schiaffeggiò la statua della Madonna, colpendo anche il bambino in braccio alla madre. Dove egli colpὶ è rimasto il segno tuttora visibile.

Ci sono dei momenti della nostra fede che scarichiamo o che vorremmo scaricare le nostre frustrazioni, rabbie, tristezze su Dio? Ricordiamoci che questo non è il giusto atteggiamento di fede di avere con Dio; anche se il Signore sa sempre come evangelizzarlo e convertirlo in bene.

4. Tommaso: il bisogno di toccare per credere. Gv 20, 26-29.

“Otto giorni dopo I discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!»”.

San Tommaso è l’uomo della ricerca. Egli ha voluto toccare il Cristo Risorto. Ha desiderato che la sua carne potesse toccare quella di Cristo. Gesù all’ottavo giorno riappare agli apostoli e permette a Tommaso di realizzare il suo bisogno. L’apostolo incredulo dirà con tutto il suo cuore “Mio Signore, mio Dio”.

Noi siamo come san Tommaso: non increduli perchè abbiamo fede, ma desiderosi che la nostra fede, la nostra sequela a Cristo diventi esperienza, possibilità, incontro faccia a faccia, rapporto personale e pieno, proprio come i santi.

Chiediamo al Signore, al Padre di poter toccare, mettere il dito, di vedere, di sentire,… di porre la nostra vita in unione con Lui, il Quale realizza questo nostro desiderio ogni volta che ci comunichiamo alla Santa Eucarestia. Lὶ Dio entra in noi e noi in Lui. Lì nel sacrificio dell’altare, si realizza un’unità così unica in cui ciascuno e ciascuna di noi e Dio non siamo più due, ma uno nell’invisibilità del mistero eucaristico, non cancellando le nostre individualità, ma anzi esaltandole.

Proviamo a partecipare alle prossime messe con questa domanda e desiderio: Signore permettimi di porre la mia mano, il mio dito… la mia vita in Te e che ne possa sperimentare i frutti.

Infine un ultimo passaggio del vangelo, che sembrerebbe contraddire tutto quanto detto fin d’ora sul significato e sull’importanza del toccare nel cammino di fede.

 

5. Noli me tángere. Non mi toccare, non mi trattenere. Gv 20, 15-18.

“Gesù le disse: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?» Ella, pensando che fosse l’ortolano, gli disse: «Signore, se tu l’hai portato via, dimmi dove l’hai deposto, e io lo prenderò». Gesù le disse: «Maria!» Ella, voltatasi, gli disse in ebraico: «Rabbunì!» che vuol dire: «Maestro!» Gesù le disse: «Non trattenermi, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli, e di’ loro: “Io salgo al Padre mio e Padre vostro, al Dio mio e Dio vostro”». Maria Maddalena andò ad annunciare ai discepoli che aveva visto il Signore, e che egli le aveva detto queste cose”.

Perchè Gesù permette a san Tommaso di toccare le sue piaghe, il suo corpo, mentre alla Maddalena impedisce di farlo?

Che cosa vuol dire questa richiesta o comando “Non mi trattenere” o “Non mi toccare” (versione Latina di san Girolamo[5]) o «non continuare a toccarmi»[6]

Con questo imperativo Gesù non esprime il desiderio di non essere toccato o che fosse addirittura infastidito per l’azione che si prolungava, ma perchè la sua dimensione di risorto appartiene a Dio-Padre.

Nel contesto della nostra catechesi, questa parola tassativa, rigida di Gesù di non essere toccato o meglio di non essere continuamente toccato possiamo spiegarla dicendo che il Risorto indica una nuova via per incontrarlo. Dio d’ora in poi non va più cercato solo nella preghiera personale e nella meditazione della parola, ma anche nella Comunità, nella Chiesa, in coloro che oggi sono gli Apostoli: il Papa, i Vescovi e i sacerdoti (“Chi ascolta voi ascolta me” Lc10,16), nella celebrazione dell’Eucarestia (“Fate questo in memoria di me” 1Cor 11,25) e infine cercarlo nei volti dei fratelli, in particolare nei poveri dai molteplici volti.

Ci sono cristiani che dicevano o che dicono: “Cristo sì, la Chiesa no!” È possibile, secondo voi, una fede cristiana senza la comunità – la Chiesa voluta dal suo fondatore? È possibile una fede da soli? Una fede del fai da te? Certamente no perché Gesù ha iniziato la sua missione di salvezza attraverso la comunitá dei 12 Apostoli e dei Discepoli.

Ho voluto dedicare questa nostra quinta catechesi all’importanza che assume il verbo “toccare” nella fede e nel nostro cammino di fede perché la nostra religione non é un credo staccato dalle esigenze umane e disincantato in una teoria, dove ognuno può esprimere il proprio parere e giudizio legittimando o meno la sua veridicità. La nostra fede o è una fede incarnata altrimenti non è.

Essa si deve toccare, vedere, sentire… cioè cerca di cambiare e convertire nel mondo di oggi i luoghi dove viviamo e dove operiamo, affinché, tramite la nostra adesione a Cristo, il deserto, che ogni giorno attraversiamo nelle nostre societá secolarizzate, fiorisca, il buio si tramuti in luce e il relativismo in certezza e chiarezza.

Vi auguro che durante il prossimo mese la fede possa diventare sempre più esperienza concreta in cui vediamo e tocchiamo il Cristo presente e operante nella nostra vita .

Tre indicazioni concrete.

  1. Ogni giorno chiedere a Gesù di toccare la nostra vita e di poterlo toccare, anche solo il lembo del suo mantello.
  2. Pregare ogni giorno per tutta la Chiesa universale, in particolare per quella perseguitata a causa della fede e per quei sacerdoti che a volte critichiamo o che non sono stati fedeli a Cristo.
  3. Provare a mettere in pratica la parola di Gesù:

“Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me.” (Mt 25,40).

Saper riconoscere nell’altro la presenza di Cristo. Fare le cose per Cristo. Incontrare, amare, perdonare, servire, sopportare l’altro, chiunque esso sia, perchè è Gesù.

Avvisi

  • Prossima catechesi: Martedì 9 febbraio, ore 21.00.
  • Come va con il santo che vi ha scelti? Lo pregate? Vi ricordate che vi ha scelti per camminare con voi durante quest’anno?
  • Vorrei segnalarvi da leggere un testo del Card. Martini che s’intitola: Sul Corpo, Ed. Centro Ambrosiano.

 

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[1] http://www.vatican.va/content/francesco/it/messages/peace/documents/papa-francesco_20201208_messaggio-54giornatamondiale-pace2021.html

[2] Basta pensare all’enciclica di papa Giovanni Paolo II Fides et Ratio del 1998.

[3] Cfr. Carlo M. Martini, Vita di Mosè, vita di Gesù esistenza pasquale, Ed. Borla, pag. 131-138.

[4] Idem pag. 106.

[5] https://www.toscanaoggi.it/Rubriche/Risponde-il-teologo/Non-mi-trattenere-.-Cosa-significano-le-parole-di-Gesu-a-Maria-di-Magdala.

[6] Idem.

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