Non stanchiamoci di fare il bene!

Vercelli, 23 Settembre 2017

NON STANCHIAMOCI DI FARE IL BENE” 

(Gal 6,9)

Relatore p. Giancarlo Maria IOLLO, OMI

CONVEGNO ANNUALE DELLA CARITAS

– SEMINARIO DI VERCELLI –

INTRODUZIONE

Ringraziamenti.

Desidero ringraziare per l’invito che mi è stato rivolto a tenere questa relazione al Convegno Diocesano della Caritas, senza nascondere  difficoltà e dubbi che ho avuto nell’accettare.

Difficoltà e dubbi sia perché non ho mai prestato servizio nell’ambiente della Caritas, come tanti di voi qui presenti, se non per delle azioni mirate (per cui forse dirò delle cose che già sapete), sia perché parlare della povertà e – soprattutto dei poveri (due argomenti cosi vasti), non è facile operare una sintesi o focalizzarsi solo su alcuni aspetti.

Mi è stato dato come testo di riferimento l’Evangelii Gaudium, precisamente il secondo paragrafo del quarto capitolo dell’esortazione apostolica, lì dove il papa parla de “l’inclusione sociale dei poveri”.

In questo tempo a nostra disposizione, saranno presi in esame i numeri dal 186 al 212, senza mettere da parte l’intero scritto del pontefice.

Ho sviluppato questa relazione in 3 punti.

Primo punto: ci soffermeremo sulla vocazione della Caritas: la chiamata di Dio e gli elementi costitutivi.

Secondo punto: come servire i poveri, con quale sguardo, con quale anima, con quale spiritualità mettersi a servizio degli ultimi.

Infine, il terzo punto: l’aspetto missionario della Caritas, essendo il paragrafo in esame parte della dimensione sociale dell’evangelizzazione.

Il titolo della relazione

“NON STANCHIAMOCI DI FARE IL BENE” (Gal 6,9).

Ho scelto questo titolo perché principalmente mi ha molto ispirato per questa relazione e poi mi è sembrato che l’invito o meglio l’esortazione, che san Paolo rivolge alla comunità dei Galati: “NON STANCHIAMOCI DI FARE IL BENE” (Gal 6,9), vuole essere un sostegno a quanto ciascuno di voi compie a favore dei poveri.

Un incoraggiamento, inoltre, perché credo che non sempre compiere il bene sia facile o immediato o scontato per poter rispondere ai bisogni effettivi dei fratelli poveri.

Non sempre si riceve quella gratitudine da parte di chi è aiutato.

Un aiuto, infine, per non correre il rischio di perdere di vista il motivo principale per cui ci impegniamo a favore degli ultimi.

PRIMO PUNTO     La Caritas: La chiamata di Dio

1.1 La Chiamata di Dio.

Leggo dal sito della CEI:

“La Caritas Italiana – quindi ogni Caritas diocesana – è l’organismo pastorale della Cei (Conferenza Episcopale Italiana) per la promozione della carità.

Ha lo scopo cioè di promuovere «la testimonianza della carità nella comunità ecclesiale italiana, in forme consone ai tempi e ai bisogni, in vista dello sviluppo integrale dell’uomo, della giustizia sociale e della pace, con particolare attenzione agli ultimi e con prevalente funzione pedagogica» (art.1 dello Statuto).

Ho voluto leggere con voi l’articolo 1 dello statuto della Caritas Italiana perché mi sembra importante ripartire dallo specifico della Caritas, pensando a questo nuovo anno pastorale che si apre davanti a noi con le novità pastorali che il Vescovo Mons. Marco ha proposto a tutta la Diocesi di Vercelli, per ribadire la sua vocazione e la sua speciale missione.

La Caritas è chiamata prima di tutto alla testimonianza della Carità nella comunità ecclesiale. Per cui essa non è un organismo che nasce dal desiderio umano di aiutare gli altri, di aiutare fratelli e sorelle nel bisogno come tante associazioni umanitarie, ma all’interno della comunità cristiana come risposta ad una chiamata. Quale chiamata, chiediamoci?

Nel libro dell’Esodo leggiamo:

«Ho ascoltato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per libe­rarlo … Perciò va’! Io ti mando» (Es 3,7-8.10).

È Dio che osservando oggi – come sempre – la miseria del suo popolo, chiama operai nella sua vigna per rispondere al grido dei poveri.

È Dio, quindi, che chiama uomini e donne a servizio dei poveri come la Caritas.

La Caritas nasce come risposta di Dio per il suo popolo, per i suoi poveri che gridano a Lui oggi.

La Caritas allora chiamata da Dio, ha un suo posto nel progetto di salvezza di Dio, situandosi tra i poveri che gridano e Dio che ascolta e che invia ad agire.

Potremmo affermare a questo punto che la Caritas, come tante realtà ecclesiali, in particolare tante congregazioni religiose, che lungo la storia della Chiesa si sono fatti carico delle sofferenze dell’uomo, nasce come risposta ai bisogni odierni[1] di povertà e di aiuto verso i poveri[2].

La Caritas come tale è sempre presente lì dove sono presenti i poveri: li trova il suo specifico, rinnova la sua vocazione per i poveri e con i poveri.

La Caritas non è una realtà accanto alle altre come un di più, un corollario della Chiesa, ma perché voluta e chiamata da Dio nella comunità cristiana, ha un suo fondamento teologico: essa nasce dalla fede e nella fede, con una sua particolare missione nella Chiesa, di cui parlerò al terzo punto della relazione.

Intendere così la Caritas: realtà ecclesiale con una sua vocazione, possa far cogliere meglio la sua missione a cui è chiamata e la sua responsabilità.

Vorrei rivolgervi alcune domande:

  1. Avverto in me la chiamata di Dio verso gli ultimi della mia città, del mio paese?
  2. Quanto come cristiano – e comunità – mi lascio interpellare dal grido dei poveri?
  3. Quali sono le risposte concrete per coloro che sono nel bisogno?
  4. Quale predilezione hanno gli ultimi nel mio cammino di fede, nei programmi comunitari e nelle scelte concrete per i poveri?

 1.2 La chiamata come comando del Signore.

Se Dio chiama ciascuno e ogni comunità a porsi a servizio dei poveri, questo suo desiderio può essere definito come un comando, ovvero quella realtà che sta veramente a cuore al Signore, da cui non possiamo prescindere o non tenere conto.

Leggiamo nel vangelo di Matteo:

“…un dottore della legge, lo interrogò per metterlo alla prova:

 “Maestro, qual è il più grande comandamento della legge?”

Gli rispose: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente.

Questo è il più grande e il primo dei comandamenti.

E il secondo è simile al primoAmerai il prossimo tuo come te stesso. 

Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti

(Mt 22,35-40).

Il primo comandamento per Gesù ne richiama subito un secondo: amare il prossimo; servire il prossimo.

Per Gesù l’amore a Dio è amore per i fratelli. Non possiamo dividere i due comandamenti e vivere solo il primo.

L’amore verso Dio, il servizio fatto a Dio spinge ogni persona, ogni credente ad amare e a porsi a servizio dei fratelli, in particolare di coloro che più sono nel bisogno.

Non possiamo amare Dio, credere in lui e servirlo con tutto il cuore senza una attenzione e una predilezione per i poveri.

A questo riguardo mi ritorna alla mente le parole della lettera di Giacomo, il quale scrive:

“Che utilità c’è, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? Può forse la fede salvarlo? Se ci sono un fratello o una sorella mal vestiti e mancanti di nutrimento quotidiano e uno di voi dicesse loro: «Andate in pace, scaldatevi e saziatevi», ma non date loro ciò che è necessario per il corpo, a che giova?

Così anche la fede: senza le opere, è morta in se stessa. Ma qualcuno dirà: Tu hai la fede e io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere, e io ti mostrerò dalle mie opere la fede.

Come infatti il corpo senza spirito è morto, così anche la fede senza opere è morta” (Gc2 14-18.26)

La nostra fede cristiana allora non può che tramutarsi in opere, in una carità operosa[3].

Questa carità fa, opera, agisce, aiuta, fino a cercare di rispondere alle domande del cuore dell’uomo.

Non basta dar da mangiare, non basta vestire, ma l’uomo chiede anche risposte per il suo cuore.

Una carità operosa che diventa – come la definisce il papa – “criterio-chiave di autenticità”[4], ovvero segno di veridicità della fede; segno di testimonianza della carità e di annuncio che il Regno dei Cieli è vicino.

Una Carità verso Dio, che non abbia un’apertura sul sociale, che non ascolti il grido dei poveri è dubbiosa.

Papa Francesco di fronte a questa esigenza della fede che diventi carità operosa, afferma che:

“Rimanere sordi a quel grido, quando noi siamo gli strumenti di Dio per ascoltare il povero, ci pone fuori dalla volontà del Padre e dal suo progetto…

Ritor­na sempre la vecchia domanda: «Se uno ha ric­chezze di questo mondo e, vedendo il suo fratel­lo in necessità, gli chiude il proprio cuore, come rimane in lui l’amore di Dio?» (1 Gv 3,17)”[5].

1.3 Gli elementi costitutivi della chiamata.

Questa carità operosa– quale la Caritas – presenta degli elementi costitutivi della chiamata, delle sue specificità. Il primo elemento è

  1. 3.1) L’iniziativa di Dio

Al numero 112 della EG il papa scrive:

“Lo esprimeva bene Benedetto XVI aprendo le riflessioni del Sinodo: «È importan­te sempre sapere che la prima parola, l’iniziativa vera, l’attività vera viene da Dio e solo inseren­doci in questa iniziativa divina, solo implorando questa iniziativa divina, possiamo anche noi di­venire – con Lui e in Lui – evangelizzatori».81 Il principio del primato della grazia dev’essere un faro che illumina costantemente le nostre riflessioni sull’evangelizzazione”.

È il Signore che, ascoltando il grido dei poveri, ha avuto l’iniziativa di voler rispondere attraverso una nuova realtà, una nuova attività che prima non esisteva, almeno nella forma odierna: la Caritas.

La Caritas, come abbiamo cercato di definire all’inizio del nostro percorso, è una realtà ecclesiale chiamata da Dio, e in quanto tale essa non nasce dall’iniziativa dell’uomo, ma per iniziativa divina.

  1. 3.2) Il primato dell’azione di Dio.

Come per ogni realtà ecclesiale il cui primato spetta al Signore, così è per la Caritas.

È il Signore che agisce per primo (anche) all’interno della Caritas.

È Lui che la illumina, che la consiglia, attraverso l’azione dello Spirito Santo, perché Egli è il solo capace di ascoltare il cuore dell’uomo nel profondo e di immedesimarsi con i più poveri.

La Caritas a nome della Chiesa è chiamata a “collaborare come strumento della grazia divina che opera incessantemente al di là di ogni possibile supervisione”[6].

Questa elemento è molto importante – a mio avviso -perché ricorda ad ogni membro che l’agire nella Caritas non può essere fatto contro la volontà di Dio, fuori dall’essere Comunità, dall’essere Chiesa, ma sempre come espressione della comunità ecclesiale a cui si appartiene e della volontà di Dio. Ciò richiama, se parliamo della Caritas parrocchiale, l’unità tra il parroco e la Caritas stessa.

Questo primato dell’agire di Dio[7], deve diventare, come ci ricorda il papa, come un faro che orienti le varie decisioni e scelte dei membri della Caritas.

  1. 3.3) L’universalità.

La Caritas, come afferma il nome “carità verso il prossimo, verso il povero”, non è una realtà che coinvolge solo alcuni membri della comunità cristiana; riservata solo ad alcuni specialisti o solo a coloro che, all’interno della comunità, si sono resi disponibili mettendo a servizio il loro tempo, ma essa riguarda tutti e ciascuno.

Dio parla a tutti. Dio chiama ogni cristiano a farsi carico del proprio fratello: nessun può sentirsi escluso da questa chiamata perché la fede in Gesù Cristo apre alla dimensione fraterna.

 “Nessuno – dichiara il papa – dovrebbe dire che si mantiene lontano dai poveri perché le sue scelte di vita comportano di prestare più attenzione ad altre incombenze…Sebbene si possa dire in generale che la vocazione e la missione pro­pria dei fedeli laici è la trasformazione delle va­rie realtà terrene affinchè ogni attività umana sia trasformata dal Vangelo, nessuno può sentirsi esonerato dalla preoccupazione per i poveri e per la giustizia sociale: « La conversione spirituale, l’intensità dell’amore a Dio e al prossimo, lo zelo per la giustizia e la pace, il significato evangelico dei poveri e della povertà sono richiesti a tutti »”[8]

Ancora scrive il papa:

“Ogni cristiano e ogni comunità sono chia­mati ad essere strumenti di Dio per la liberazio­ne e la promozione dei poveri, in modo che essi possano integrarsi pienamente nella società; que­sto suppone che siamo docili e attenti ad ascolta­re il grido del povero e soccorrerlo”.

Vorrei evidenziare che queste ultime parole del papa, mostrano che la chiamata di Dio a porsi a servizio dei poveri non presenta solo una dimensione personale, dove ognuno personalmente è chiamato a servire i poveri, a fare qualcosa per loro, ma anche comunitaria.

Nell’enciclica “Deus caritas est” afferma papa Benedetto che:

“L’amore del prossimo radicato nell’amore di Dio è anzitutto un compito per ogni singolo fedele, ma è anche un compito per l’intera comunità ecclesiale, e questo a tutti i suoi livelli: dalla comunità locale alla Chiesa particolare fino alla Chiesa universale nella sua globalità”[9].

Ogni comunità ecclesiale: la parrocchia, l’associazione, il movimento e quanto esiste nella Chiesa come gruppo e comunità, è chiamata da Dio ad essere attenta ai fratelli bisognosi, ad avere una predilezione per i poveri e a cercare delle risposte concrete.

La vostra presenza, membri rappresentanti della diverse Caritas parrocchiali o associazioni ecclesiali della diocesi, sta a dimostrare quanto proprio ora affermato: ogni comunità porta in sé la chiamata ad ascoltare il grido dei poveri, come Dio, e a porre dei gesti concreti di aiuto e di sostegno.

  1. 3.4) I luoghi d’incarnazione

Infine, la chiamata di Dio per ogni comunità s’incarna, si realizza, prende forma nei territori dove essa è presente e si rivolge a persone concrete, con volti diversi per età, cultura e bisogni.

Questo invita ogni comunità a prendersi cura del  territorio che il Signor le affida, a cercare chi sono i poveri della propria zona e ad attivare iniziative e strutture (lì dov’è possibile) che possano rispondere ai bisogni effettivi e alle esigenze dei poveri.

Madre Teresa di Calcutta spesso diceva a coloro che andavano in India “Cercate Calcutta nelle vostre città”. Era un invito a mettersi a servizio del proprio territorio, scoprendo una chiamata di Dio a prendersi cura della propria città.

Se dovessimo chiedere a papa Francesco quali sono secondo lui altri elementi costitutivi della Caritas, che cosa risponderebbe?

Pensando il desiderio che il papa ha per la Chiesa, cioè che sia una Chiesa povera per i poveri[10], una Chiesa in uscita con le porte aperte[11] i cui destinatari privilegiati sono i poveri[12]; “una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura”[13], credo che egli direbbe le stesse parole.

Papa Francesco – credo che – desidererebbe una Caritas in uscita con le porte aperte, accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade della sua città e del suo quartiere, per farsi carico del grido dei poveri.

SECONDO PUNTO  Servire i poveri come Cristo

2.1: La spiritualità della Caritas

2.1.1 Uno spirito contemplativo.

La Caritas, come abbiamo cercato di capire nel primo punto, è una realtà chiamata da Dio ad ascoltare il grido dei poveri e a mettersi a servizio come esigenza della fede. Come tale essa presenta – a mio avviso – un punto di partenza da cui iniziare il suo servizio: uno spirito contemplativo.

Ogni membro che svolge l’azione caritatevole a nome della Chiesa, a nome della comunità ecclesiale di riferimento a favore dei poveri e degli ultimi, è chiamato a coltivare uno spirito contemplativo: uno spirito di preghiera e di amicizia personale con Cristo.

È dall’incontro personale con il Signore, rinnovato ogni giorno nella preghiera e in un’amicizia continua con Lui, che ogni cristiano, a nome di Cristo e della sua Sposa la Chiesa, può avvicinarsi ai poveri per ascoltarli, per rispondere ai loro bisogni e per indicare la via della salvezza.

Ogni membro è chiamato – come afferma il papa – a sostare davanti al Signore con il cuore aperto, lasciando che sia il Signore a contemplarci, per scoprire in questo sguardo d’amore e d’intimità quanto Egli ci ama. Quanto bene porta alla persona permettere al Signore che tocchi ogni volta che lo incontriamo nella preghiera la nostra esistenza, per essere lanciati con più vigore, audacia e forza a comunicare la sua nuova vita![14]

2.1.2 Poveri tra poveri

Il dialogo personale con Cristo diventa imperante e fondamentale perché ci aiuta a prendere coscienza della nostra povertà, dei nostri limiti e del nostro bisogno di essere da Lui amati.

Di fronte a Dio siamo tutti poveri perché peccatori, deboli e bisognosi di misericordia.

Solo Dio è ricco! Solo Dio non è mancante di nulla in ogni attimo della vita.

Questa coscienza di essere “poveri tra poveri” ha un’importanza tale perché aiuta a ricordarsi che coloro che si presentano alle nostre Caritas prima di essere poveri sono fratelli e sorelle, che hanno la nostra stessa fame e sete di Dio.

Il povero è certamente affamato di cibo, bisognoso di vestiti, di dignità, di lavoro, di collettività… tutti bisogni che esprimono il bisogno più profondo della vera povertà: la mancanza di Dio.

2.1.3 Docilità all’azione dello Spirito Santo

Infine, non va dimenticato che, essendo la Caritas un’opera di Dio, Colui che agisce è lo Spirito Santo. Chi opera nella Chiesa e agisce per primo, chi è l’ispiratore di ogni azione e gesto missionario, è lo Spirito del Signore.

È importante che ogni membro abbia a cuore e che venga spesso richiamato alla docilità allo Spirito Santo.

Il papa a questo riguardo, in maniera chiara, dice:

“Occorre una decisa fiducia nello Spirito Santo, perché Egli «viene in aiuto alla nostra debolez­za» (Rm 8,26). Ma tale fiducia generosa deve alimentarsi e perciò dobbiamo invocarlo co­stantemente. Egli può guarirci da tutto ciò che ci debilita nell’impegno missionario. È vero che questa fiducia nell’invisibile può procurarci una certa vertigine: è come immergersi in un mare dove non sappiamo che cosa incontreremo. Io stesso l’ho sperimentato tante volte. Tuttavia non c’è maggior libertà che quella di lasciarsi porta­re dallo Spirito, rinunciando a calcolare e a con­trollare tutto, e permettere che Egli ci illumini, ci guidi, ci orienti, ci spinga dove Lui desidera. Egli sa bene ciò di cui c’è bisogno in ogni epoca e in ogni momento. Questo si chiama essere miste­riosamente fecondi!”[15]

Questo atteggiamento della spiritualità – docilità allo Spirito Santo, significa che la Caritas non consiste esclusiva­mente in azioni o in programmi di promozione e assistenza; quello che lo Spirito mette in moto non è un eccesso di attivismo, ma prima di tut­to un’attenzione rivolta all’altro «considerandolo come un’unica cosa con se stesso». Questa attenzione d’amore è l’inizio di una vera preoc­cupazione per la sua persona e, a partire da essa, desidero cercare effettivamente il suo bene. Que­sto implica apprezzare il povero nella sua bontà propria, col suo modo di essere, con la sua cul­tura, con il suo modo di vivere la fede, se ne ha una.

Richiamare alla nostra mente e al nostro cuore l’importanza di curare la spiritualità cristiana che sia centrata sul rapporto personale con Cristo, coscienti di essere poveri tra poveri, con un cuore docile allo Spirito Santo e alla volontà di Dio rende ciascuno – come ci ricordava il papa – persone fecondi.

La Caritas come organo ecclesiale è chiamata sicuramente a far fronte ai bisogni dei poveri, ad essere quelle braccia premurose di una madre verso i suoi figli, senza per questo dimenticare il suo primo servizio: fecondare, generare, ogni persona a Cristo, l’unica Speranza vera per il cuore di ogni uomo e di ogni donna, indipendentemente dalla scelta religiosa e dalla cultura.

 2.2 L’Anima della Caritas

«Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Gv 15,11).

Evangelii Gaudium. La Gioia del vangelo.

Qual è l’anima della Caritas? Come servire i poveri? Quale deve essere la divisa o il tesserino dei membri della Caritas… se non la gioia?

La Caritas deve essere un luogo di gioia: dove chi arriva percepisce che c’è gioia, c’è vita… che c’è una comunità, un gruppo di sorelle e fratelli che si vogliono bene e sono felici di essere lì a servizio di chi ha bisogno.

La gioia è importante. Non è un idea o un chiodo fisso del papa, che permea tutta l’esortazione apostolica. Ma la gioia, la gioia cristiana, nasce dalla consapevolezza di essere amati, di essere personalmente e infinitamente amati da Dio. Questo ci fa cogliere che il primo aiuto che siamo chiamati come Chiesa, come Caritas, a dare ai poveri è la gioia cristiana.

Portatori di una gioia che determina e colora il servizio nella Caritas.

Noi, in qualsiasi ambiente ecclesiale o sociale in cui siamo e viviamo, non possiamo tacere la gioia del Vangelo e, ricordando le parole del papa: “Non lasciamoci rubare la gioia”.

Siamo figli della risurrezione, di un evento che ha portato nei nostri cuori tristi, a causa del peccato e della morte, la gioia.

I poveri sono già poveri, a volte tristi e senza speranza, essi vanno accolti con gioia, con la gioia di Cristo.

Siete chiamati, come Caritas, a dare testimonianza della Carità, ma anche della Carità della Gioia.

Testimonianza della gioia attraverso la propria vita, il proprio sorriso, lo sguardo che rivolgi, l’accoglienza che riservi, la pazienza che vivi ( credo che di essa ne occorre spesso tanta) e la speranza da infondere che Cristo ha vinto la morte la nostra morte. 

2.3 Le caratteristiche del Servizio

Sappiamo bene che non basta solo dare, ma anche come si dà.

C’è una grande differenza nell’essere un’associazione che aiuta da un organismo ecclesiale che prima di tutto accoglie, ascolta e si fa carico del cuore dell’uomo secondo la parabola del Buon Samaritano. Quest’estate sono stato in Senegal. Ho visitato dei dispensari cattolici, tenuti da religiose.

Mi hanno detto che i musulmani, soprattutto le donne musulmane preferiscono andare ai dispensari cattolici per l’accoglienza che ricevono rispetto ad altri.

Leggendo l’EG, mi sembra che emergano delle caratteristiche importanti per il servizio ai poveri e agli ultimi. Delle caratteristiche che traggono origine dai sentimenti e dagli atteggiamenti di Cristo.

           2.3.1 Mc 10,21 “Fissatolo lo amò”.

Un primo atteggiamento è lo sguardo d’amore.

Gesù per prima cosa quando si avvicina ad una persona ama, la ama.

L’accoglienza di Gesù e il suo ascolto: il funerale del ragazzo della madre vedova di cui Gesù ha compassione (Lc 7,11-17).

          2.3.2 Essere vicini.

Essere vicini ai poveri come Gesù: al cieco (Mc 10,46-52); ai peccatori con i quali si ferma a pranzo (Mc 2,16; Mt 11,19); una prostituta che unge i suoi piedi (Lc 7,36-50); a Nicodemo di notte (Gv 3,1-15) fino al dono della vita in Croce, in cui il Signore – potremmo dire – è vicino all’ultimo peccatore (Lc23, 42-43) e così a tutta l’Umanità.

Guardando Gesù, il papa invita ad essere vicini ai nuovi poveri, che oggi si

presentano a noi con volti nuovi. Egli – il papa- afferma che bisogna:

“essere vicini a nuove forme di povertà e di fra­gilità in cui siamo chiamati a riconoscere Cristo sofferente, anche se questo apparentemente non ci porta vantaggi tangibili e immediati: i senza tetto, i tossicodipendenti, i rifugiati, i popoli in­digeni, gli anziani sempre più soli e abbandonati, ecc.”[16]; “coloro che sono oggetto delle diverse forme di tratta di persone”[17]; “le donne che soffrono situazioni di esclusione, maltrattamento e violenza, perché spesso si trovano con mino­ri possibilità di difendere i loro diritti”[18]; “i bambini nascituri, che sono i più indifesi e in­nocenti di tutti, ai quali oggi si vuole negare la dignità umana al fine di poterne fare quello che si vuole, togliendo loro la vita e promuovendo le­gislazioni in modo che nessuno possa impedirlo”[19].

Credo che questi poveri che si presentano con nuovi volti, di cui parla il papa, tutti o quasi, si presentano alle vostre Caritas per chiedere aiuto.

          2.3.3 “L’avete fatto a me” dice Gesù (Mt 25,40)

Gesù ci assicura che qualsiasi cosa abbiamo fatto all’altro, Lui lo ritiene fatto a sé.

È un incoraggiamento, un aiuto, ma anche una maggiore responsabilità.

          2.3.4 L’amore reciproco

«Da questo tutti sapran­no che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35).

Gesù chiede l’amore reciproco tra i suoi discepoli.

Gesù chiede l’amore reciproco tra di voi, che alla Caritas siete i suoi discepoli.

L’amore reciproco è il primo distintivo del cristiano.

Chi segue Cristo ama, ama il fratello che gli è accanto, il fratello che Cristo gli ha posto vicino.

Gli amici li scegliamo, i fratelli no. Cristo non ci dona amici da amare, ma fratelli perché questi ultimi non possiamo sceglierli.

L’amore reciproco aiuta non solo a rendere bello l’ambiente e piacevole, ma soprattutto aiuta ad amare insieme e che siamo a servizio dei poveri non a livello personale, ma come Chiesa.

Afferma papa Francesco che l’amore reciproco spesso è minacciato dalle simpatie-antipatie, dalle gelosie e da altro perché tutti abbiamo simpatie e antipatie… – allora – dicia­mo almeno al Signore: «Signore, sono arrabbiato con questo, con quella. Ti prego per lui e per lei». Pregare per la persona con cui siamo irritati è un bel passo verso l’amore”[20], verso l’amore reciproco.

          2.3.5 L’unità. Gesù chiede l’unità.

«Padre che siano una sola cosa … in noi … perché il mondo creda» (Gv 17,21).

Gesù nell’ultima cena a chiesto al Padre l’unità tra i suoi discepoli.

L’unità tra i discepoli è fondamentale perché è la garanzia che si è gruppo, che si è comunità.

Questa unità è così importante, che il papa la definisce superiore al conflitto.

Ci possono essere, e spesso ci sono, dei conflitti tra le persone. Vanno accettati, risolti (se si può) e (sicuramente) trasformati in un anello di un nuovo processo perché “Beati gli operatori di pace” (Mt5,9)[21].

Sosteneva Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari:

“Meglio il meno perfetto nell’unità, che il più perfetto nella disunità”.

Siete Caritas a servizio dei poveri, senza dimenticare che la prima testimonianza da dare della Carità è proprio l’unità. Che bello che coloro che vengono da voi vi dicono grazie non solo per quanto avete fatto per loro, ma perchè c’è una bella atmosfera, armonia, intesa tra voi che collaborate. Questo, anche se loro non lo sanno, è segno di testimonianza e di annuncio cristiano.

Aggiungo ancora 3 caratteristiche

          2.3.6 La realtà è più importante dell’idea, afferma il papa[22]. Un principio del papa che interpreterei in questo modo: la realtà è la persona, che si presenta alla porta della Caritas con tutto il suo mondo, e l’idea, invece, rappresenta tutto ciò che possiamo fare o che sia giusto fare.

          2.3.7 San Vincenzo de’ Paoli diceva: “I poveri saranno i vostri padroni”. Se i poveri sono i miei – i nostri – padroni allora non posso che avere un certo atteggiamento verso di loro: di ascolto e di servizio.

          2.3.8 “Attenzione spirituale”.

Spesso siamo presi, nel rispondere ai bisogni dei poveri, di sollevare le loro ferite e di aiutarli nella sopportazione del dolore. Ci dimentichiamo che alla Caritas siamo chiamati a dare Dio perché nei poveri vi è una speciale apertura. Siamo chiamati a comunicare la sua Parola; che il nostro ambiente non è anonimo, ma un volto ben preciso: è carità cristiana. Al numero 200 dell’esortazione così scrive il papa:

“La peggior discrimina­zione di cui soffrono i poveri è la mancanza di at­tenzione spirituale. L’immensa maggioranza dei poveri possiede una speciale apertura alla fede; hanno bisogno di Dio e non possiamo tralasciare di offrire loro la sua amicizia, la sua benedizione, la sua Parola, la celebrazione dei Sacramenti e la proposta di un cammino di crescita e di matu­razione nella fede. L’opzione preferenziale per i poveri deve tradursi principalmente in un’atten­zione religiosa privilegiata e prioritaria.”

Quanto appena affermato apre il terzo ed ultimo punto di questa relazione: la dimensione evangelizzatrice della Caritas.

TERZO PUNTO         La Carità(s) come strada all’Evangelizzazione

3.1 Il comando di Gesù.

Gesù dopo la risurrezione dice:

“Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. 

Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato” (Mc16, 15-16)

Dopo la risurrezione, il Signore Gesù dà un comando ai suoi discepoli quello di andare in tutto il mondo per predicare la sua parola e per battezzare ogni uomo.

Il compito della Chiesa, affidatole dal Maestro, è quello della Missione: annunciare Gesù Cristo morto e risorto per la salvezza del mondo. La Chiesa non ha altro scopo di esistere.

La sua missione, la sua azione, il suo essere in mezzo al mondo come “ospedale da campo”, è per dire e ri-dire al mondo la Buona Novella.

Papa Francesco all’inizio dell’esortazione apostolica ricorda che:

“«bisogna, tuttavia, non perdere la ten­sione per l’annunzio» a coloro che stanno lontani da Cristo, «perché questo è il compito primo della Chiesa». L’attività missionaria «rappresenta, ancor oggi, la massima sfida per la Chiesa» e «la causa missionaria deve essere la prima». Che cosa succederebbe se prendessimo realmente sul serio queste parole? Semplicemente riconosce­remmo che l’azione missionaria è il paradigma di ogni opera della Chiesa.”[23]

Un annuncio però che la Chiesa ha imparato a vivere in diversi modi, cominciando a prendersi cura dei bisogni dei poveri, fin dalla prima comunità cristiana:

“Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano l’importo di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; e poi veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno (At4, 34-35). 

La Caritas è il luogo dell’accoglienza, dell’ascolto, dell’aiuto… ma anche, come ogni realtà presente nella chiesa, il luogo dell’annuncio cristiano, esplicito o implicito che sia.

La Caritas è il luogo dove si presentano persone che provengono da tutti gli angoli del mondo per cultura, per età e per ceto sociale, per cui essa può essere definita – usando un termine paolino: un areopago. Un luogo dove coloro che si presentano forse non sanno chi è Cristo, come si chiama, e voi siete chiamati ad annunciarLo, anche con la sola e semplice accoglienza e ascolto.

Un altro compito a cui è chiamata la Caritas, secondo me, (anche alla luce degli ultimi eventi: dei rifugiati e dei perseguitati a causa della fede) è quello di “svegliare” la coscienza di tanti cristiani e di tante comunità che c’è cibo e posto per tutti, se condividiamo.

Siete chiamati a svegliare, a spronare, a invitare tanti fratelli a non chiudersi di fronte ai bisogni dei poveri, dei nuovi poveri che si presentano nelle nostre città, vicini alle nostre case, ma essere come i cristiani della prima comunità degli Atti, che portavano i loro beni perché fossero distribuiti per coloro che ne necessitavano.

 3.2 Due icone

La Caritas ha questo compito, come ogni organismo ecclesiale, di annunciare la fede, di proclamare la buona novella.

Questo annuncio, che voi come Caritas siete chiamati a fare, può trovare luce e sostegno in due icone evangeliche che vi propongo.

La prima è la testimonianza di vita di san Giovanni Battista.

La seconda, la parabola del Buon Samaritano.

San Giovanni Battista perché è colui che ha preparato la via del Signore, che ha richiamato il popolo alla conversione, a cambiare mentalità, a cambiare strada, ad aprire il cuore a Colui che stava per venire. San Giovanni Battista è colui che indicò l’Agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo.

La Caritas può indicare la via giusta; può aiutare a preparare la via del Signore, può e deve indicare l’Agnello di Dio.

Il Samaritano è colui che scese da cavallo, si rese disponibile al bisogno dell’uomo incappato nei briganti. È colui che si fece vicino, cercò di capire di che cosa avesse bisogno quell’uomo mezzo morto e si prese cura di lui.

La Caritas è il Samaritano…

3.3 Andare verso…

Il comando di Gesù “andate in tutto il mondo per annunciare la buona notizia” mi sembra che per voi possa assumere due significati.

Il primo è letteralmente l’andare. Andare effettivamente in tutti i luoghi del proprio territorio, della propria parrocchia, della propria diocesi, per mettersi a servizio dei fratelli poveri.

“Uscire”, come invita il papa, per prendersi cura dei fratelli che hanno bisogno.

Uscire per visitare coloro che hanno bisogno di aiuto materiale, ma sicuramente hanno bisogno di una parola buona, di essere ascoltati, anche nelle loro case.

L’andare -come missione – può manifestarsi anche nel cercare sul proprio territorio nuove strade per aiutare chi è nel bisogno.

Quali potrebbero essere nuove strade?  Quali soluzioni? Quali idee?

Da un lato, credo che non ci siano risposte adeguate per tutti, ma che esse nascono dall’ascolto del grido dei poveri, dall’osservare la realtà in cui si vive. Dall’altro lato, la condivisione con Caritas di altre parrocchie della diocesi o di altre zone d’Italia, possono suggerire nuove strade per aiutare i poveri. In questo senso, mi sembra che la nuova impostazione del nostro Vescovo delle Comunità pastorali, possa essere o diventare un aiuto e un sostegno a cercare nuove risposte sia per i bisogni dei poveri sia perché Cristo sia annunciato e annunciato a tutti.

L’andare, inoltre, può manifestarsi verso paesi lontani, come le due missioni della diocesi: il Mozambico e il Kenya, a cui mi sembra che come Caritas collaborate, e i viaggi missionari.

Viaggi missionari come quello che ho vissuto questa estate in Senegal, per accompagnare un gruppo di 11 giovani. Il viaggio missionario in Guinea Bissau di Carolina e Andrea, due giovani della nostra diocesi qui presenti, che ho invitato a raccontarci in breve la loro esperienza.

Il secondo significato dell’“andare” è in senso figurato perché più che andare verso… è un aspettare che i poveri vengano.

Si aspetta che il mondo venga.

Andare nel senso di uscire da se stessi per andare verso l’altro.

L’andare qui consiste nell’essere presenti, nel curare bene gli ambienti in cui saranno accolti, nel “far loro casa” etc.

Infine, e concludo questo terzo punto, questo andare verso i poveri, questo uscire, ha sempre un riflesso positivo sulla vita di fede di ciascuno.

Mentre si aiuta, si è aiutati.

Mentre si dona, si riceve.

Mentre si testimonia Cristo, la nostra fede si ritrova cresciuta e rafforzata.

Il mio fondatore, Sant’Eugenio de Mazenod, sintetizzava la missione in queste parole:

“Mi ha mandato ad evangelizzare i poveri. I poveri mi hanno evangelizzato”

Il nostro fondatore sosteneva che siamo mandati ad evangelizzare poveri, a portare loro la buona novella, a far conoscere chi è Cristo. Ma in questo andare, in questo dare, c’è sempre un ricevere.

I poveri diventano i nostri missionari: coloro che ci aiutano a penetrare il mistero di Dio perché per loro il Signore ha un amore particolare.

I poveri sono non solo i nostri padroni, ma anche i nostri “maestri e padri nella fede” perché essi in qualche modo ci aiutano a vivere una fede più concreta, più essenziale: incarnata.

I poveri sono coloro che ci aiutano a convertirci, a guardare la Vita con occhi nuovi e semplici; a fissare il nostro cuore sull’essenziale. Ci insegano l’abbandono fiducioso nelle mani di Dio; a rivolgerci a Lui; a non camminare da soli, ma a lasciare spazio in modo che Dio possa camminare con noi.

I poveri, inoltre, ci aiutano – afferma il papa- ad allargare la nostra interiorità[24].

Allargare la nostra interiorità non solo nell’essere generosi, nell’amare di più, ma a lasciare spazio a Dio, affinché possa operare grandi cose nella nostra vita.

CONCLUSIONE.

Mi auguro che quanto ho esposto e – soprattutto – condiviso in questa relazione possa aiutare a cogliere la vocazione della Caritas, come opera di Dio a servizio dei poveri sull’esempio di Cristo.

Una vocazione chiamata a testimoniare la carità nella comunità ecclesiale con la gioia di Cristo

La Caritas, mi sembra, nel suo specifico ed operare, è un invito forte per le nostre comunità cristiane a non chiudersi nelle proprie sicurezze e ricchezze, ma a lasciarci interpellare da Dio, per ascoltare oggi il grido dei poveri.

Un invito, guardando il Signore Gesù che si è fatto povero con i poveri, perché ci guidi ad un’attenzione caritatevole e preferenziale verso i bisognosi; un ricordarci, infine, che qualsiasi cosa abbiamo fatto anche a uno solo dei suoi amici, il Signore lo ritiene fatto a Lui.

Che la Vergine Maria, Colei che gravida uscì di casa per andare a servire sua cugina Elisabetta, affrontando le difficoltà del viaggio della montagna, possa diventare un vivo incoraggiamento a non stancarsi a fare il bene.

Desidero terminare questa relazione con le parole di ringraziamento di papa Francesco, che faccio mie, per tutto ciò che la Caritas opera per i fratelli e per le sorelle poveri a nome della Chiesa e per la Chiesa:

 “Sento -afferma il papa- una gratitudine immensa per l’impegno di tutti coloro che lavorano nella Chiesa… quanti cristiani danno la vita per amore: aiutano tanta gente a curarsi o a morire in pace in precari ospedali, o accompagnano le persone rese schiave da diverse dipendenze nei luoghi più poveri della Terra, o si prodigano nell’educazione di bambini e giovani, o si prendono cura di anziani abbandonati da tutti, o cercano di comunicare valori in ambienti ostili, o si dedicano in molti altri modi, che mostrano l’immenso amore per l’umanità ispiratoci dal Dio fatto uomo.

Ringrazio per il bell’esempio che mi danno tanti cristiani che offrono la loro vita e il loro tempo con gioia.

Questa testimonianza mi fa tanto bene e mi sostiene nella mia personale aspirazione a superare l’egoismo per spendermi di più.”[25].

Grazie!

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“NON STANCHIAMOCI DI FARE IL BENE” (Gal 6,9)

INTRODUZIONE

Ringraziamenti.

Articolazione della relazione.

PRIMO PUNTO                     La Caritas: La chiamata di Dio

1.1 La Chiamata di Dio.

1.2 La chiamata come comando del Signore.

1.3 Gli elementi costitutivi della chiamata.

  1. a) L’iniziativa di Dio
  2. b) Il primato dell’azione di Dio.
  3. c) La caratteristica dell’universalità.
  4. d) I luoghi d’incarnazione

 SECONDO PUNTO               Servire i poveri come Cristo

2.1: la spiritualità della Caritas

2.1.1 Uno spirito contemplativo.

2.1.2 Poveri tra poveri

2.1.3 Docilità all’azione dello Spirito Santo

2.2 L’Anima della Caritas

2.3 Le caratteristiche del Servizio

TERZO PUNTO                     La Carità(s) come strada all’Evangelizzazione

3.1 Il comando di Gesù: “Andate in tutto il mondo…” (Mc16, 15-16)

3.2 Due icone

3.3 Andare verso…

CONCLUSIONE

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[1] La Caritas nasce nel 1971 da volere di papa Paolo VI.

[2] Basti pensare alla realtà dei rifugiati e dei fratelli esiliati a causa delle persecuzioni religiose, che stiamo vivendo in quest’epoca.

[3] Cf Gal 5, 6.

[4] EG195.

[5] EG 187.

[6] EG 112.

[7] Cf EG 112.

[8] EG 201

[9] Deus caritas est 20.

[10] EG 198.

[11] EG 46.

[12] Cf. EG48.

[13] EG 49.

[14] Cf EG 264.

[15] EG 280.

[16] EG 210.

[17] EG 211.

[18] EG 212.

[19] EG 213.

[20] EG 101.

[21] Cf EG 227.

[22] Papa Francesco, Evangelii Gaudium, pag. 234ss.

[23] EG 15.

[24] Cf EG 272.

[25] Evangelii Gaudium 76.

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